Nel "Menfishire" alla ricerca del cibo perduto

Nel "Menfishire" alla ricerca del cibo perduto
di Alessandra Iannello
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Lunedì 30 Ottobre 2017, 20:31 - Ultimo aggiornamento: 20:32

Attraverso il cibo si tramandano le storie di un popolo perché la tradizione di ogni civiltà ha le radici che affondano nella cucina, nei suoi ingredienti, nei gesti che per millenni si ripetono sempre uguali. Un territorio dalla spiccata vocazione agricola come quello di Menfi (in provincia di Agrigento) è depositario di una tradizione gastronomica contadina forte, che a causa delle migrazioni e del conseguente abbandono delle campagne stava andando perduto. 
 

 

Per recuperare e tutelare l’antica sapienza culinaria del territorio e diffonderla, affinché la tradizione gastronomica contadina non si perdesse per sempre Mandrarossa (l’etichetta dei vini del consorzio Settesoli) ha avviato il progetto “La Brigata”. Sono state selezionate, sulla base della loro sapienza e passione, 25 signore di Menfi, esperte di cucina tradizionale e tutte insieme hanno fatto un lavoro di ricerca tra le ricette più antiche, alcune delle quali si tramandano da generazioni nelle proprie famiglie.

È nata così la Brigata di Cucina Mandrarossa, che ha identificato e riesumato i piatti della tradizione e creato uno speciale menù del territorio. Così c’è Damiana, la signora della pasta, che impasta le “busiate” (pasta a forma di sottili tubi attorcigliati su se stessi) usando il “buso” (il ferro ricavato dal raggio di ombrello) con sapienza antica. Il condimento per questo tipo di pasta, che pare sia stata portata in Sicilia dagli Etruschi, è semplice ma profumatissimo, fatto con i pomodori e le melanzane fritte e sopra tutto una spolverata di ricotta salata (ricotta stagionata fino a 30 giorni).

Insieme a Damiana si succedono ai fornelli Rosa, Annarella, Sarina, Giovanna, Paola, Francesca, Angela e tante altre, ognuna con la propria storia. I piatti sono quelli che sanno di “casa” come le lumache di terra stufate nel pomodoro, il “pane cunzato” (un pane che nell’impasto nasconde pomodoro e origano) e poi la caponata, la peperonata, e le sarde cotte sul fuoco della carbonella senza usare alcun condimento insaporite solo dal sale dell’acqua di mare e dal grasso che rilasciano a contatto col calore. Per dolce ci sono i “nucatuli” biscotti ripieni di un composto di miele, mandorle, scorze d’arancia e cannella.

A pochi chilometri da Menfi c’è Castelvetrano (Trapani) dove si custodisce un altro tesoro della tradizione siciliana: il pane nero. Qui, nella patria di questo presidio Slow Food, è rimasto solo un produttore che impiega il lievito madre antico (lu criscenti). Il lievito madre del panificio Rizzo ha oltre 60 anni e la sua unicità è stata certificata anche dalla “Puratos Sourdough Library” una biblioteca con sede in Belgio dove sono raccolti i lieviti di pani tipici provenienti da tutto il mondo.
Il pane nero di Castelvetrano è prodotto con una miscela di semola di grano biondo siciliano integrale e di semola ricavata da una varietà di frumento locale raro, la tumminìa entrambe macinate a pietra. Anche la cottura segue delle regole ben precise. I forni di pietra locale vengono alimentati con le fronde di potatura dell’olivo Nocellara del Belice, dalle cui olive si ricava un olio DOP fra i più pregiati al mondo. La vastedda (pagnotta rotonda) conserva la sua morbidezza per 7 giorni a riprova dell’antichità di questo pane che veniva preparato una volta la settimana.

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