Rugby Italia, la meta vincente si chiama Mango: da Sanremo a Cardiff l'apertura geniale del “maestro” di scacchi Quesada, 16 secondi di bellezza

Il manuale segreto delle giocate ideate dal ct che ha permesso agli azzurri di mettere a segno il Torneo migliore di sempre

Rugby Italia, la meta vincente si chiama Mango: da Sanremo a Cardiff l'apertura geniale del “maestro” di scacchi Quesada, 16 secondi di bellezza
di Paolo Ricci Bitti
11 Minuti di Lettura
Martedì 19 Marzo 2024, 14:05 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 18:01

dal nostro inviato

CARDIFF Chissà se Angelina e Amadeus e tutto l’ambaradan del Festival di Sanremo sanno di essere stati citati proprio durante l’azione più bella del Sei Nazioni 2024 di rugby, quella che ha portato in meta Lorenzo Pani sul prato smeraldo del Principality Stadium di Cardiff? La meta della vittoria per l’Italia sul Galles (21-24), quella che corona il Torneo migliore di sempre per gli azzurri grazie a due vittorie e un pareggio.

Libro segreto


«E’ la giocata “Mango”», rivela lo stesso marcatore, il fiorentino Lorenzo Pani, 21 anni scolpiti su un metro e 90 centimetri da decatleta. Un ragazzo che a Cardiff non avrebbe dovuto nemmeno esserci e che invece ha marcato una meta magnifica sostituendo all’ultimo momento Ange Capuozzo, ko per la frattura di un dito di una mano. Il Sei Nazioni è terminato, negli spogliatoi dell’immenso stadione che domina la capitale della nazione più rugbystica d’Europa rimbomba Fratelli d’Italia, la festa per il trionfo è appena cominciata e si può dare una sbirciata qua e là al libro segreto dei piani di gioco del ct Gonzalo Quesada, le strategie che hanno finalmente reso inossidabile la difesa azzurra senza rinunciare alla verve in attacco già decollata con il precedente ct Crowley. Dal capitano Lamaro all’addetto ai bagagli della nazionale sono tutti d’accordo: l’argentino ha prima ricostruito - e in meno di tre mesi - la fiducia in un gruppo sbriciolato dal Mondiale in Francia, poi ha aggiunto la sua idea del gioco, ma a piccole dosi.

Le giocate in galeico

Sono il capitano e i mediani che si accordano al volo sulle giocate da effettuare: ognuna ha un nome in codice (scelto dai giocatori) il più possibile inintelligibile per gli avversari, un tempo si ricorreva ai numeri ma adesso le giocate sono talmente tante che si correrebbe il rischio di sbagliare i conti.

La lingua italiana è un vantaggio, mentre gli azzurri con doppio passaporto o equiparati captano o almeno intuiscono il senso delle “chiamate” degli avversari: sabato, per dire, il nostro Varney, nato e cresciuto in Galles, comprendeva a menadito il passaparola gallese in gaelico. Magari non poteva decodificare fino in fondo il tipo di giocata, ma certo poteva agire d'anticipo.

«Anche la meta nel primo tempo di Monty (Ioane) è una “Mango” adatta ai “cinque metri” (l’area del campo più vicina alla meta degli avversari)», dice ancora Pani che non era ancora nato quando gli azzurri che hanno portato l'Italia nel Sei Nazioni lanciavano azioni tipo la "Samoa" o la "Springboks" che nella nazionale di Georges Coste proiettano in meta assi come Paolo Vaccari chiamato a correre in maniera irrituale "a raso" del mediano di apertura Diego Dominguez. Azioni già di un notevole grado di complicazioni, ma nulla di comparabile alla "Mango" vista sabato: nemmeno i telecronisti di Bbc Wales (rugbysti, è chiaro) sono riusciti ad elencare in diretta tutti i nomi dei giocatori che vi hanno preso parte tale è stata le velocità della giocata.  

I lanci di gioco

Il ct Quesada l'ha ripetuto spesso: a lui, ex mediano di apertura, il regista, piace da matti ideare "lanci" di gioco e questa Mango entrerà in tutti manuali, salvo poi che potrà essere sempre meno usata, in questa versione, perché i video analizzatori di tutte le squadre del mondo la stanno già sezionando istante per istante: per ogni match, in altre parole, bisogna sempre inventarsi nuove strategie. Vale in attacco, vale in difesa, vale ore e ore, anche di notte, a  cavarsi gli occhi sui video per ricavare piani di gioco. 

Da sempre si dice che una partita di rugby è come una partita a scacchi giocata in velocità: ecco, immaginate  il "maestro" argentino davanti alla scacchiera verde con 15 pezzi azzurri da muovere contro i 15 rossi. La torre - è facile capirlo - è Ruzza, i cavalli sono Menoncello e Brex, il re è Lamaro, l'alfiere Garbisi, il pedone (sfrontato) Varney. A dare scacco matto in 9 mosse, senza che i gallesi siano riusciti a mangiare nemmeno un pezzo italiano, sarà Pani. Il Gambetto di donna è persino una fortunata serie sugli scacchi su Netflix, il Gambetto di Pani non suona tanto bene, ma fa lo stesso. 

L'area di gioco

L'azione copre un area del campo da gioco che misura 70 metri per 60 (senza le aree di meta il campo è 70 metri per 100), quindi una bella fetta di prato, L'azione in 9 passaggi dura 16 secondi da quando la palla lascia le mani del tallonatore Nicotera a quando Pani schiaccia in meta e coinvolge direttamente 14 azzurri di cui 9 toccano la palla (Nicotera due volte) mentre il quindicesimo Lynagh tiene comunque impegnata l'attenzione dell'ala gallese.

Nessuno dei 15 gallesi riesce a ostacolare almeno un po' la manovra azzurra, un record nel record: sono tutti presi in contropiede da questa giocata del tutto inedita e realizzata con una maestrìa fenomenale.

Lo schieramento di una touche e il corridoio di 20 metri

Sei minuti dopo l'inizio della ripresa, dopo che i gallesi hanno sempre attaccato furiosamente (per 5 minuti e 50 secondi) senza cavare un ragno dal buco come accaduto nel primo tempo, l'Italia gode di una touche a sinistra sulla linea dei propri 40 metri: per arrivare alla meta gallese ne mancano 60. Siamo sullo 0-11: una meta italiana aprirebbe le porte a una storico trionfo, una meta (in contropiede, un intercetto) riaprirebbe pericolosamente la partita.

La Mango

Garbisi chiama la "Mango", il messaggio arriva al tallonatore Nicotera, che si appresta a lanciare la palla in touche, e al capitano Lamaro che partecipa alla rimessa laterale.

La touche è ideale per lanciare i trequarti: tra i due schieramenti c'è una terra di nessuno di 20 metri (chi non impegnato nella touche, che attacchi o che difenda, deve stare a 10 metri dall'allineamento degli avanti. Nella Mango tutti gli 8 avanti sono impegnati nella touche e l'obbiettivo è quindi creare un sovrannumero con i trequarti. 

«Sappiamo che serviranno 9 passaggi precisi al millimetro per lanciare me o Louis (Lynagh) nel corridoio sull'out a sinistra, dalla parte opposta della touche. Non si possono sbagliare di un centimetro i passaggi, le corse, i raddoppi e questo mentre gli avversari caricano a tutta velocità». Per ore gli azzurri durante gli allenamenti hanno memorizzato prima sulla carta e poi sul prato questa giocata: prima camminando, poi al trotto, poi di corsa senza opposizione, poi con l'opposizione. Ogni volta che il pallone cadeva per terra si ricominciava. Quante azioni devono imparare gli azzurri per ogni match: una ventina, sempre adattate a nuove avversari. 


«Dunque - spiega Pani con gli occhi che brillano - la “Mango” l’abbiamo pianificata con Gonzalo (Quesada, il ct) e Marius (Goosen, assistente allenatore) in varie versioni da eseguire in base alla posizione sul campo». 

Testo e musica di Quesada, cantano gli azzurri

Ecco allora la “Mango”, testo e musica di Gonzalo Quesada, cantano gli azzurri.


Il tallonatore Nicotera lancia la palla in touche, la seconda linea Ruzza, sollevato in "ascensore" da Niccolò Cannone Negri,  l’afferra salendo con le mani a quasi 4 metri di altezza, si forma una maul (un raggruppamento) con la palla che nel frattempo è finita tra le manone del capitano Lamaro, terza linea, in versione mediano di mischia, che non fa avanzare la maul ma passa la palla all’accorrente Nicotera (una sorta di antico peeling off) che aggira il raggruppamento e passa lungo (difficile assai) al trequarti centro Menoncello saltando quindi entrambi i mediani Varney e Garbisi (e già questo disorienta parecchio gli avversari). Menoncello avanza, ma poco prima del contatto serve Varney “nascosto” dietro di lui. Brex avanza e, quasi senza guardare, (pensate il brivido) passa a Garbisi che raddrizza sull’asse verticale la manovra.

Finora la palla si mossa da sinistra a destra (come si vedrebbe se fossimo alle spalle degli azzurri) e sin qui ben 8 passaggi non hanno permesso di conquistare un solo metro di terreno, ovvero in 8 passaggi la palla è alla stessa altezza del campo (la linea dei 40 metri) di quando ha lasciato le mani di Nicotera. Perché non si è guadagnato terreno? Elementare, la palla si passa solo all'indietro ed è quindi da dietro che sopraggiungono i giocatori, ma quello che è geniale che questa sinfonia di passaggi e corse hanno costretto la difesa gallese, che pure è salita bene allineata, ad allargarsi per tutta l'ampiezza del campo. 

Così quando la palla arriva a Garbisi davanti a lui, a Brex e Lynagh ci sono solo i 2 gallesi North e Dyer. E quando Garbisi, con polpastrelli da pianista, passa a Ioane l'ala azzurra si infila come una lama nel "buco" all'interno di Dyer. Ioane è una scheggia e sprinta: divora i primo 10 metri fino alla linea di metà campo, poi accellera ancora fino a quando, dopo altri 5 metri, vede l'estremo Winnett sbarrargli la starda. Come da manuale lo "impegna" e smista a sinistra per Pani già a tutto gas. Mancano 45 metri alla linea di meta e in larghezza l'azione ha ora coperto 60 metri arrivando a ridosso della linea di destra della rimessa laterale.

Velocità


«Quando sei nel gap - racconta ancora Pani - è meraviglioso: l’effetto è quello di andare al doppio della velocità mentre gli avversari presi di sorpresa arrancano alla moviola. Ho visto alla mia destra il mio compagno Louis (Lynagh) e davanti, ma già in ritardo, l’ala gallese Adams arrivare di taglio, ma in ritardo, e l'ho "puntato" a destra per poi cambiare passo (side step) a sinistra e ho capito che non mi avrebbe più fermato. Non c'era bisogno di passare a Louis. Il cuore mi scoppiava dalla gioia quando mi sono tuffato in meta. Fin dall’inizio del match ero certo che avremmo vinto (ecco la fiducia instillata da Quesada, ndr) e quella marcatura che ci portava sul 18 a zero era un forte ipoteca sulla vittoria».

L'estremo azzurro ha mandato a farfalle una pellaccia come Adams (che pure aveva ciccato il placcaggio vitale su Capuozzo due anni fa, pur in tutt'altro contesto, ndr), ha resistito al ritorno della velocissima ala Dyer e solo già in tuffo ha sentito il sopraggiungere, disperato e inutile, del centro Tompkins.

Vicini e allineati gli avanti in touche, a distanza i trequarti

 

 


Che meta!

E’ una meta in prima fase, ovvero, la più basica ma la più difficile da realizzare perché bisogna riuscire a eludere ogni intervento degli avversari. Nel rugby ad alto livello le mete in prima fase si contano sulle dita di una mano, ora fasciata, di Capuozzo. E quella di Pani, in 9 passaggi millimetrici e rapidissimi, è un compendio dell’elegante e potente armonia del rugby sciorinata sul palcoscenico più prestigioso dagli omoni della mischia e dai trequarti velocisti.

Lorenzo Pani si tuffa in meta (Foto Cfp)

Quesada commosso


Spiega a dir poco commosso il ct Quesada: «Questa meta è il regalo più bello che la squadra mi potesse fare: ogni allenatore la notte prima del match sogna che venga eseguita alla perfezione durante la partita, con tutta la tensione che avvinghia il cervello e i muscoli dei giocatori, la strategia studiata prima a tavolino, partendo dagli schieramenti più frequenti degli avversari (ore e ore cavandosi gli occhi sui video, insomma), e poi costruita movimento dopo movimento, passaggio dopo passaggio durante gli allenamenti (quelli a porte chiuse, invisibili alle “spie” degli avversari che non mancano mai, ndr). Beh, i ragazzi si sono mossi in maniera eccellente e proprio per segnare la meta decisiva. Non potrei essere più orgoglioso di loro».

Dal manuale segreto di Quesada in questo Sei Nazioni sbucano anche i due calcetti (il primo a scavalcare di Page-Relo, il secondo rasoterra di Garbisi) che hanno permesso a Brex e Lynagh di fare meta alla Scozia mandandola al tappeto. «Avavamo visto - il ct - che gli scozzesi difendeva su tutta la larghezza del campo senza “coprire” le spalle allo schieramento. Riuscire a bruciare la Scozia due volte segnifica avere proprio individuato una loro debolezza e i giocatori sono stati perfetti nel selezionare dal loro catalogo di azioni quelle giuste al momento giusto».

Profetico anche l’allenamento del giovedì prima di Italia-Scozia: stracciando la scaletta del programma, Quesada ha detto: «Ok, addesso ipotizziamo di essere sopra di 2 punti e che per i tre minuti finali della partita dobbiamo difenderci dagli attacchi scozzesi senza mai concedere loro una punizione (che vale 3 punti). Cominciamo e sappiate che finiremo solo quando ci riusciremo».

Gli azzurri, anche con la supervisione dell’arbitro internazionale Piardi, si sono messi fino all’ultima molecola di energia. E e tre giorni dopo hanno difeso su 24 fasi (un’enormità) di attacco della Scozia negli ultimi tre minuti della partita finita i pugni al cielo davanti ai 70mila dell’Olimpico.

Paolo Ricci Bitti

Azzurri, arbitri e cronisti nello stesso hotel: nel rugby è normale

dal nostro inviato
CARDIFF Dunque siamo in Galles, la nazione più ovale del mondo dopo la Nuova Zelanda, alla vigilia della sfida all’Italia. E’ un paese da due mesi in gramaglie perché i Dragoni in questo Sei Nazioni hanno perso sempre: 4 ko su 4 partite e sono dietro “persino” agli azzurri. C’è tuttavia la possibilità di metterseli alle spalle con una vittoria che veniva definita, anche alla buvette del parlamento in cui si parla gaelico, «ineluttabile»: non si può proprio perdere dagli italiani, che diamine. Una partita quindi delicatissima.

E cosa fa la federazione gallese? Alloggia gli arbitri del match nello stesso hotel dell’Italia. Sì, venerdì e sabato mattina il capitano Lamaro e il ct Quesada e anche i rarissimi cronisti al seguito degli azzurri si sono trovati in fila al buffet della colazione con l’arbitro francese Mathieu Raynal, l’irlandese Joy Neville, addetta al Tmo (la moviola, una compito sempre più determinante che espone anche a terribili commenti sui social) e i guardalinee Chris Busby (irlandese) e Morné Ferreira (sudafricano). «Buongiorno, come va?». «Bene, grazie. La famiglia? I bambini? Qua piove sempre, eh!».

Lo stesso prima e dopo cena nelle sale dell’hotel con vista sullo stadio. Arbitri anche disponibili a fare due chiacchiere con i cronisti, magari davanti a un caffé. Tutti insieme fino al fischio d’inizio. Joy Neville, già capitana della nazionale e poi prima arbitra ad avere diretto i maschi anche nel rugby di massimo livello, parla anche italiano dopo avere sposato l’italo-irlandese Simona Coppola. Il rugby, un altro mondo. 

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA