Schlein sfida le correnti: «Cambio il Pd o me ne vado, sono stata eletta per invertire la rotta»

L’aut-aut della segretaria: «Sono stata eletta per invertire la rotta al Nazareno»

La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, durante la Direzione Nazionale del Partito Democratico a Roma, 21 aprile 2024. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
di Andrea Bulleri
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Venerdì 26 Aprile 2024, 22:58 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 18:23

Un anno fa non l’hanno vista arrivare. Dopo le Europee però dovranno vederla restare. Anzi: la guarderanno aprire il Pd come una scatoletta di tonno. Sempre che le urne (e i suoi ne sono convinti) le diano ragione. Eccola, la strategia di Elly Schlein per uscire dall’angolo in cui l’hanno spinta le correnti. Prima frenandola sull’idea delle cinque capolista donne pescate nella società civile. Poi impallinando la candidatura di Ilaria Salis prima ancora che l’ipotesi arrivasse davvero sul tavolo. E poi di nuovo con la querelle del nome nel simbolo esplosa e poi rientrata in 24 ore con una sonora retromarcia.

Ora però la segretaria è decisa a tornare all’attacco.

Contro cacicchi e capibastone. E pure contro chi tra i dem punta a imbrigliarla nelle vecchie logiche di un partito che come Crono divora i suoi segretari: uno (in media) ogni anno e mezzo. Lei, però, non è disposta a farsi logorare. Ecco perché l’altra sera, dagli studi di Piazzapulita, ha recapitato alle truppe dem quello che somiglia a tutti gli effetti un aut-aut. Sui territori così come al Nazareno, è il messaggio, bisogna aprire porte e finestre, e bisogna aprirle davvero. «Io sono stata eletta per fare quello e non mi fermo. E se non ci riesco – scandisce Schlein su La7 – troverò altro da fare».

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L’avviso

Parole che a chi è attento a decrittare il linguaggio dem sono suonate come un avviso ai naviganti. O si fa a modo mio e si cambia musica, recita l’all-in, oppure me ne vado. Non che abbia intenzione di farlo davvero, Schlein. Almeno di questo si è convinto chi con lei si confronta più spesso: «Se si dimettesse, la darebbe vinta a chi finora non ha fatto altro che metterle i bastoni tra le ruote. E poi – confidano gli schleiniani – Elly può attrarre consensi in mondi che il Pd di prima non intercettava. È questa la sua forza».

Intanto però la pistola è sul tavolo. Non chiede carta bianca, la segretaria. «Se c'è qualcuno che ha in astio la personalizzazione della politica sono io», si era giustificata in direzione una settimana fa. Ma un po’ più di margine di manovra, sì. Quanto basta per polarizzare la sfida con Giorgia Meloni, su cui Schlein ha intenzione di spingere l’acceleratore anche dopo le Europee perché il “format”, si sono resi conto al Nazareno, funziona. A questo doveva servire il nome nel simbolo. A questo servirà la candidatura in Ue, anche se azzoppata dal fatto di presentarsi in due sole circoscrizioni (il Centro da capolista e il Sud). L’idea di correre anche nelle altre tre era circolata. Ma quello delle liste è un capitolo che si è preferito non riaprire, per evitare di far ripartire la grancassa delle polemiche interne. Dunque il primo tempo del tira e molla è finito giocoforza con un “cacicchi” 1, Elly 0.

Ma la musica cambierà, promettono i fedelissimi di Schlein. Se il duello con la premier non si può combattere sui simboli, il terreno da gioco saranno i manifesti. Su cui la segretaria ha intenzione di mettere bene in vista il proprio volto. Per segnalare anche visivamente che il Pd di ieri (quello del governo a tutti i costi, del Jobs act e degli accordi con la Libia sui migranti) non è quello di oggi. Personalizzare la battaglia e incassarne i dividendi, è il mantra.

Per riuscire e blindarsi in sella al Nazareno però, la strategia ha bisogno di conferme nelle urne. L’asticella è il 20%, sopra al 19 incassato da Letta alle Politiche. Meglio ancora (ma qui il gioco si fa duro) sarebbe bissare “quota Zingaretti”, il 22,7 di 5 anni fa. Sotto il 20, la segretaria sa che la strada per lei si farebbe in salita. Anche se, dicono i suoi, se il Pd le chiedesse un passo indietro farebbe un gesto suicida. E lei di certo non si lascerebbe scalzare tanto in fretta. «Per essere sostituita da chi?», ci si domanda nel giro dei più vicini. Antonio Decaro, il cui nome circolava come futuribile segretario, è azzoppato dalla minaccia di scioglimento per le inchieste. E Paolo Gentiloni non sarebbe così ansioso di vedersi addossare la responsabilità del partito. Non c’è che Elly, confidano i suoi.

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Guerra quotidiana

Dunque per il momento tanto vale puntare tutto sulla guerra quotidiana a Meloni. Dalla Rai («va riformata in profondità») alla sanità («per la destra chi ha il portafoglio pieno può saltare le liste»). Fino all’ultimo terreno di scontro, l’autonomia differenziata: «Stanno imponendo una dittatura della maggioranza – torna ad attaccare Schlein – Non è accettabile che ogni volta che vanno sotto su un emendamento ripetano la votazione, la riforma stravolge l’assetto dello Stato». Poi, incassato l’esito (positivo, confidano al Nazareno) delle Europee, si tornerà a concentrarsi sul partito. Cacicchi avvisati.

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