Sfatando la leggenda di Praga

Sfatando la leggenda di Praga
di Marco Iaconetti
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 3 Giugno 2015, 17:04
Ero ancora un giovane laureando quando venni a Praga la prima volta, per motivi di studio. Ricordo la passeggiata sul Ponte Carlo, circondato da suonatori vestiti con abiti di ogni foggia che cercavano di attirare l’attenzione dei passanti con i loro allegri motivi, senza però riuscire a distrarmi dalla spiegazione della nostra guida delle fantastiche leggende che animano la città boema.



Ne ricordo una in particolare, secondo la quale, toccando una delle tante statue che costeggiano il ponte, si avrà l’opportunità di tornare nella capitale ceca. Non lo feci, perché mi ero ripromesso dopo la mia tesi di visitare altre nazioni per mischiarmi con altri popoli e culture, perché il mondo è sicuramente più bello scoprirlo quando si è giovane e spensierato.



Tornato a casa, però, avevo capito di aver commesso un fatale errore. perché durante la mia visita la città era entrata così tanto in empatia con la mia persona che sarei voluto tornare immediatamente in Repubblica Ceca.



Sono tornato dopo più di un decennio ad omaggiare il “mio paese”, sfatando quello strano mito popolare. E così rieccomi finalmente a Praga, emozionato come ad un appuntamento con un vecchio amore di cui sentivo la mancanza.



Alloggio ad una mezz’ora abbondante dal centro, non proprio in periferia, ma in uno di quei sobborghi in stile sovietico che con i loro monotoni palazzi sono un segno imprescindibile di tutto l’Est Europa.



L’ostello Plus è una “little Italy” ceca, dove giovanissimi ragazzi italiani sono venuti per lavorare. Mi salutano calorosamente e faccio conoscenza con tutti, soprattutto con Matteo Villani, promettente designer italiano che per mantenersi lavora come direttore in questa struttura, e che mi sorprende per la sua versatilità e per la capacità di essere il collante di tutti i camerieri, essendo il loro padre, amico e fratello. Alla faccia di quella dispregiativa parola “choosy” che il ministro Fornero aveva coniato con tanto disprezzo verso i nostri ragazzi.



La città si ripresenta sempre con il suo romantico ascendente. Attraverso Mala Strana per raggiungere il Ponte Carlo in una serata insolitamente calda per essere gennaio. L’architettura delle due torri poste all’inizio ed alla fine, con quelle luci soffuse che illuminano solo parte delle guglie, rendono il contesto assai magico. Dopo aver attraversato la torre della “Polveriera” mi dirigo verso la “Casa danzante” che sembra animarsi come per magia da un momento all’altro con i suoi pilastri dalle sinuose forme e con le sue pareti curve senza una vera logica, che solo un visionario come Ghery poteva progettare.



Ricordo con precisione i vicoli principali che conducono alla Città Vecchia, anche se il nucleo storico di Praga lo ricordavo molto più piccolo. Come sta accadendo un po’ in tutta Europa scorgo molti negozi asiatici, che con le loro strane insegne contrastano con il contesto circostante, a differenza di antiche attività, soprattutto dolciarie, prese d’assalto dalle frotte di turisti. Una in particolare lavora ad ogni ora del giorno, provocando in me un po’ d’invidia perché penso che un’idea semplice qualche volta può essere vincente più che un roboante titolo di studio, d’altronde carmina non dant panem.



Incuriosito acquisto anch’io una specie di girella locale, impreziosita da un buon velo di zucchero. Mentre assaporo questa prelibatezza osservo la processione dei discepoli nel Municipio della Città vecchia. Il famoso orologio astronomico è l’elemento medianico per eccellenza di Praga, simbolo dell’essenza della vita, in cui ogni singola figura assolve ad una precisa simbologia. Lo scheletro che regge la clessidra suona a morte su di una piccola campana ed in segno di diniego scuote la testa al ricco signore posto al suo fianco sul quadrante che cerca con una borsa gonfia di monete di comprare la propria salvezza. Il tutto ha un forte significato perché emblema della vacuità dell’esistenza.



La capitale ceca è unica nel suo genere, affascinante per il suo forte connubio tra mistero e realtà, al punto che non si riesce mai a decifrare con precisione la linea di demarcazione tra tangibilità ed esoterismo.



Praga è un libro di pietra che narra storie inverosimili, dal Golem del quartiere ebraico al rapporto tra la lunghezza e l’orientamento del ponte Carlo che sono stati realizzati seguendo delle precise simbologie astronomiche, alla torre della Old Town che è disposta in modo tale che il tramonto del solstizio d’estate illumini esattamente la lanterna della grande torre della Cattedrale di San Vito, nel punto esatto in cui era conservato il Santo Graal.



Kundera in uno dei tanti significati del suo immortale capolavoro l’”Insostenibile leggerezza dell’essere” ambientato durante l’occupazione sovietica, che la vita in fondo è priva di significato, perché ciò che accade una sola volta non ha valenza perché è come se non fosse mai successo, ed invece per me è bastato un attimo soltanto per farmi innamorare della “mia” Praga facendomi risucchiare dalla profondità della sua essenza.





















© RIPRODUZIONE RISERVATA