In Kenya, con gli italiani sentinelle della savana

In Kenya, con gli italiani sentinelle della savana
di Alessandro Di Giacomo
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Sabato 25 Ottobre 2014, 18:54 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 10:17
Gli esseri umani e i 2mila leoni del Kenya possono convivere? La ricerca dell’equilibrio tra un’economia in forte sviluppo e un ambiente ricco di biodiversità sta impegnando molti Paesi africani. Il Kenya, per esempio, è passato da una popolazione di 2 mln di abitanti all’inizio del Novecento agli attuali 40 mln, con esigenze crescenti impattanti che ovviamente “premono” su una delle wildlife più famose al mondo. Considerando che la Natura rappresenta per il Kenya un assett dell’industria del turismo, appare evidente quanto sia strategico bilanciare due aspetti apparentemente in contraddizione tra loro.



Il mantenimento delle aree selvagge in Kenya è quindi stato organizzato in National Park, territori completamente preservati, in National Reserve, dove sono possibili alcuni controllati insediamenti umani, e in conservancy e santuary gestiti da privati che si occupano di presidiare e mantentere il territorio (in raccordo con le Autorità preposte) anche in sinergia con l’accoglienza di turisti amanti della natura.

Nella Taita Taveta County, proprio sotto la catena delle Taita Hills, una di queste conservation è gestita da Davide (51 anni) e Cristina Gremmo, una coppia di italiani che prosegue l’insediamento voluto dalla famiglia di lui molti anni fa. Posizionata a 3°36’34” Sud e 38°14’29”Est, la Lualenyi Private Reserve occupa una superficie di oltre 230 kmq, nell’ambito dei 450 kmq del Lualenyi Ranch, in una lingua di terra inserita nei 23mila kmq del famoso Tsavo National Park.



“La nostra area confina con lo Tsavo –spiega Gremmo- per 15 km a Sud e 23 km ad Ovest, siamo pertanto una prosecuzione del Parco stesso. Qui la natura è assolutamente intatta e noi ci impegnamo affinchè il ciclo ecologico resti immutato”.



Quali sono i problemi che si incontrano maggiormente nell’opera di mantenimento ambientale di questa area?

“In special modo la convivenza tra uomini e animali selvaggi. E’ spesso problematico far convivere i grandi allevamenti di bovini itineranti con le specie selvagge ancora fortemente presenti. Inoltre, sempre più appezzamenti coltivati riducono spazio e pascoli per esempio ai branchi di elefanti e bufali in perenne movimento. Ognuno ha le sue giuste esigenze, ma occorre tutelare questo patrimonio ambientale irripetibile”.



Oltre ad essere impegnate nei Parchi nazionali le Autorità locali seguono anche aree come la vostra gestite da privati?

“Certamente. Noi collaboriamo fortemente con il Kenya Wildlife Services, che in questa area è comandato da un uomo illuminato come Samuel Rukaria. Segnaliamo ogni aspetto che riteniamo possa squilibrare questo selvaggio, ma delicato ecosistema. Anche loro sanno di poter contare su di noi poiché non siamo qui solo per business, ma per passione. Questa è ormai anche la nostra terra di famiglia, qui è la mia casa. Nel vento del Kenya abbiamo disperso le ceneri di mio padre e mia madre vive ancora qui”.



Ci sono altri aspetti di questa collaborazione con la KWS?

“Il più importante è la nostra partecipazione alla guerra contro i bracconieri. Noi segnaliamo alle Autorità ogni movimento sospetto nella savana, scopriamo e togliamo le trappole nel bush, fino a presidiare gli animali feriti in attesa dei veterinari del KWS. Inoltre, a marzo si terrà qui un corso di medicina tattica per i ranger della KWS impegnati spessissimo in cruenti scontri a fuoco con i cacciatori di frodo”.



Può farci un esempio di questo lavoro?

“Purtroppo nell’ultima settimana abbiamo perso due elefanti colpiti dai bracconieri. Li avevamo intercettati e sottoposti alle cure dell’esperto veterinario della KWS. Il primo era una femmina di circa 5 anni morta per un’infezione dovuta ad una ferita da trappola, il secondo era un maschio di circa 20 anni morto per colpi da arma da fuoco. Siamo però riusciti ad evitare che i bracconieri si impossessassero delle zanne, che valgono circa 2mila dollari al kg. Questi assassini della savana con l’avorio finanziano anche il terrorismo, occorre quindi fare ogni sforzo comune per fermarli”.



Organizzazione di safari, lotta al bracconaggio, segnalazione di incendi ed altri impatti lesivi, mantenimento dell’ecosistema, equlibrio tra uomini e animali sono attività che impegnano le giornate di persone come Gremmo che gestiscono centinaia di conservancy in Kenya, ma non solo: “Con la collaborazione delle guide professioniste dell’Associazione Italiana Esperti d’Africa al Lualenyi Tended Camp abbiamo svolto corsi di medicina in aree remote, tenute dal dottor Marco Filippi dell’Associazione Europea Tecnici Emergenza Medica e Paramedica, destinati a chi deve fare interventi sanitari estremi”.



In savana con Gremmo si incontra sempre Cambi, un anziano kenyota. “E’ un tracciatore da sempre presente in famiglia. Ha 74 anni, ma quando è in safari sembra un ragazzo. Appartiene alla tribù dei Waliangulu, antichi cacciatori di elefanti nell’area compresa tra la costa a Nord di Mombasa e la parte Est dello Tsavo National Park. Non c’è traccia che lui non possa trovare, capire e valutare. Una volta era preziosissimo per seguire gli animali ed prevenire sorprese, ma oggi -ammette Gremmo- anche lui ha capito che l’uomo è il pericolo maggiore per questo ambiente unico”.