Israele, il Tribunale dell’Aja vuole arrestare Netanyahu: la mediazione di Biden

Telefonata in serata con il presidente Usa per la tregua ed evitare l’operazione Rafah

Israele, il Tribunale dell’Aja vuole arrestare Netanyahu: la mediazione di Biden
di Raffaele Genah
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Lunedì 29 Aprile 2024, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 09:35

Un nuovo spettro si aggira nei palazzi governativi israeliani. La possibilità che il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, possa firmare tra qualche giorno un mandato di cattura internazionale contro il premier Netanyahu, il ministro della Difesa Gallant e il Capo di Stato Maggiore dell’esercito Halevi. L’accusa di aver commesso crimini di guerra sarebbe uno smacco difficile da sopportare per l’unica democrazia della regione.

Già nello scorso ottobre, poco dopo i massacri dei terroristi islamici il capo dell’Accusa della Corte che risiede a L’Aja aveva rivendicato la propria giurisdizione su qualsiasi crimine di guerra compiuto da Hamas e da Israele.

Ma finora davanti alla giustizia internazionale ci è finito solo lo Stato ebraico con un’altra accusa infamante, quella di genocidio questa volta davanti alla Corte internazionale di giustizia, anch’essa con sede a l’Aja, procedimento sollevato dal Sudafrica e formalmente ancora in corso.

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Le preoccupazioni di Bibi

La minaccia di un mandato di cattura sta creando grossi problemi a Netanyahu, soprattutto per il danno d’immagine che ricadrebbe sull’intero Stato. Ma lo stesso premier – che secondo i giornali israeliani sarebbe sotto “forte stress” per questa eventualità – ha affidato il suo pensiero a Telegram: «Sotto la mia guida, Israele non accetterà mai alcun tentativo della Corte Penale internazionale di minare il suo diritto fondamentale alla difesa» e, anche se non influenzeranno le azioni di Israele, (che non ha sottoscritto gli Accordi di Roma) costituiscono tuttavia un pericoloso precedente. Il ministro degli esteri Katz lancia l’allarme e l’invito a prepararsi contro una possibile e imponente ondata di antisemitismo.

 

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La telefonata con Biden

Queste le versioni pubbliche, ma dietro le quinte il capo del governo spinge molto sugli Stati Uniti perché si adoperino a scongiurare questa eventualità. E ancora ieri sera lo avrebbe ribadito nel corso di una lunga telefonata con Biden. Da parte sua l’amministrazione americana sta cercando in tutti i modi quanto meno di rinviare l’operazione di terra su Rafah. Il segretario di Stato Blinken che continua, instancabile, la sua spola, arriverà martedì in Israele mentre all’interno del suo Ministero una parte dei dirigenti non considerano «credibili o affidabili» le assicurazioni di Israele sull’uso in conformità con il diritto internazionale delle armi fornite dagli Usa. Un’altra leva, quella delle forniture militari, che potrebbe essere usata dagli americani per costringere Netanyahu a rallentare i propri programmi nella cittadina a sud della striscia in cui sono ammassate più di un milione di persone. Tema caldo, questo delle armi, visto che lo stesso Biden dovrà riferirne al Congresso entro il prossimo 8 maggio. Ma il ministro della Difesa Gallant parlando nella base militare aerea di Palmach insiste: «dobbiamo portare a termine il nostro compito». Ci vorrà tutto il tempo necessario ma l’obbiettivo resta duplice: eliminare Hamas e riportare gli ostaggi a casa.

Proposte di tregua

La settimana che si apre prevede altri importanti passaggi: al Cairo oggi arriva la delegazione di Hamas guidata da Khalil al Hayya, dovrà rispondere sulle proposte che i negoziatori guidati dal capo dell’intelligence egiziana – di ritorno dalla sua visita in Israele – metteranno sul tavolo. Si è parlato di 33 ostaggi civili da rilasciare in cambio di un numero imprecisato di detenuti palestinesi e il cessate il fuoco per sei settimane. Secondo il Wall Street Journal ci sarebbe anche una proposta egiziana che prevederebbe la liberazione di 20 ostaggi in cambio di una tregua di tre settimane, che potrebbero aprire la via a un prolungamento del cessate il fuoco. Un alto funzionario di Hamas ha anticipato all’Afp che il gruppo palestinese «non ha grossi problemi» con l’ultima proposta di Israele ed Egitto per un cessate il fuoco a Gaza. «L’atmosfera è positiva, a meno che non vi siano nuovi ostacoli da parte di Israele. Non ci sono grossi problemi nelle osservazioni e nelle richieste che Hamas presenterà riguardo ai contenuti». Ma il solo parlare di cessate il fuoco scatena le ire della destra messianica e ultranazionalista guidata dal duo Ben Gvir e Smotrich: «Accettare accordi di questo tipo sarebbe una resa umiliante». E se rinunciasse all’operazione di terra su Rafah il governo a guida Netanyahu «non avrebbe più alcun diritto ad esistere». Opposta la posizione del leader centrista ed ex capo di stato maggiore dell’esercito Benny Gantz, che dopo il massacro a far parte dal gabinetto di guerra, e sul quale si appuntano le speranze dell’opposizione e dei manifestanti che ancora una volta hanno riempito sabato sera le piazze e le strade di Tel Aviv e Gerusalemme. Gantz risponde su X: «L’ingresso a Rafah è importante, ma il ritorno dei nostri ostaggi che sono stati abbandonati dal governo che era in carica il 7 ottobre, è urgente e di ben maggiore importanza». Gli fa eco l’altro esponente dell’opposizione, l’ex premier Yair Lapid che incalza Netanyahu a scegliere tra i due ministri dell’ultradestra e il bene del Paese.

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