Il giorno dopo le elezioni politiche, il 26 settembre, Gianfranco Fini era uscito dall'oblio (dura dal 2010, da quando scoppiò lo scandalo sulla casa di Montecarlo) attraverso una dichirazione di Ignazio La Russa. Il senatore FdI si era premurato di dire che considerava Fini un padre della destra e riferiva che aveva votato FdI congratulandosi poi per la vittoria.
Già, perché Giorgia Meloni è arrivata dove Fini e gli altri non sono riusciti.
Succede che Fini torni a parlare pubblicamente di politica. I cronisti della stampa estera lo hanno cercato e interpellato per un commento: per capire Fratelli d'Italia non si può non andare a scavare nel passato, nella fiamma di Alleanza Nazionale. Ma nella chiacchierata informale tenuta in via dell'Umiltà l'ex presidente della Camera finisce per regalare un titolo, un endorsement per Giorgia. Si spende, ne parla bene. Mette la mano sul fuoco sul suo atlantismo, l'europeismo, e in generale sull'affidabilità della premier in pectore. La dipinge come creatura naturale, partorita dalla svolta di Fiuggi, quella promossa nel 1995 (Meloni aveva 18 anni) per dare un nuovo volto alla destra. In quell'occasione i missini votarono il rifiuto dell'antiamericanismo e la collocazione atlantica ed europeista.
E sono i solchi entro i quali si muove ancora Meloni che a mano a mano, come recita la canzone di Rino Gaetano che fa partire da diversi anni sui palchi di FdI, è riuscita a portare al governo quel polo escluso per tanto tempo.