Il primo gennaio scorso l’euro scritturale, emesso il primo gennaio 1999, ha compiuto venticinque anni. In forma cartacea, fu poi messo in circolazione con le banconote il primo gennaio 2002. Il percorso compiuto in un quarto di secolo è importante; i vantaggi della moneta unica, a cominciare dai pagamenti effettuati con un unico segno monetario, per passare, soprattutto, alla gestione delle crisi finanziarie, sono risultati fondamentali. Ma le aspettative concepite ai tempi, pensando all’“intendance suivra”, alla moneta che avrebbe trascinato l’economia, le riforme strutturali fino all’evoluzione delle istituzioni della politica, non si sono concretizzate, almeno nella misura alla quale si aspirava. Il problema originario che discende da una moneta senza Stato e si concreta in un’unica politica monetaria in presenza di una pluralità di politiche economiche e, prima ancora, in una diversità, nell’area, delle condizioni economiche e sociali, è rimasto solo molto parzialmente affrontato con ordinamenti e strumenti mirati, innanzitutto, ai controlli - si pensi al Patto di stabilità - prima che a un possibile “governo”.
Esiste, in specie in economia e in campo bancario, una confusione e una sovrapposizione, quando non una superfetazione, di norme e istituzioni. Si tratta ancor più della “zoppia” lucidamente evidenziata a suo tempo da Carlo Azeglio Ciampi, rappresentata dalla moneta e dalla politica monetaria uniche, da un lato, e dalla diversità delle politiche per l’economia, dall’altro. Del resto, già nel 1989 l’allora Governatore onorario della Banca d’Italia, Paolo Baffi, aveva chiaramente previsto i gravi limiti del funzionamento di quella che allora era la progettazione “in nuce” dell’Unione monetaria.
Mancarono seri ed efficaci controlli e in molti settori vi furono non motivate impennate dei prezzi nella moneta comune. I passi successivi sono stati settoriali.
E’ mancata una spinta ideale, l’anima di cui parlava Delors, che deve, però, trovare sostegno nei progressi nell’economia e nel sociale. L’integrazione politica deve camminare sulle gambe dei cittadini; una riforma istituzionale che spiani la strada ad avanzamenti consistenti dell’unità europea richiederebbe, in particolare, un Europarlamento con i poteri uguali a quelli nazionali, una Commissione con attribuzioni tipiche dei Governi, un Consiglio in un dosato bilanciamento con la Commissione.
Ciò presuppone il trasferimento al centro di sovranità nazionali, ma è un obiettivo-vincolo che non si può realizzare se non si affronta il modo in cui i singoli Paesi possano adeguatamente partecipare, su di un piano di parità, all’esercizio di questa più ampia sovranità.
Nella politica estera e di sicurezza - si pensi oggi alla tragedia delle due guerre in corso - nelle migrazioni, nel governo delle diverse cruciali transizioni, nell’avvio della messa in comune di rischi e di debiti, l’Unione è incerta e molto spesso appare marginale, quando “non pervenuta” , come si direbbe oggi.